Brevi note in tema di concorso esterno in associazione mafiosa
Di Fernando Cannizzaro 01 luglio 2014
Dopo la vicenda dell’Utri molti lettori hanno chiesto un mio parere sul caso stante il fatto che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non è previsto da alcuna legge come reato. E’ mia abitudine accontentare i lettori facendo presente agli stessi che io non sono nè un luminare del diritto né la Suprema Corte di Cassazione.
Indipendentemente dalla sentenza dell’Utri, esaminiamo, in generale, tale dibattuta tipologia di reato. In ordine alla controversa interpretazione giurisprudenziale del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, la Cassazione ha stabilito che «ai fini della configurabilità del concorso esterno, occorre che il dolo investa sia il fatto tipico oggetto della previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta dell’agente alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, agendo il soggetto, nella consapevolezza di recare un contributo alla sua realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio» .
In altre parole afferma ancora la Cassazione, va dimostrato il «il doppio coefficiente psicologico», ossia quello che deve investire ai fini del reato, «il comportamento dell’agente e la natura di esso come contributo causale al rafforzamento dell’associazione».
Di seguito il link per consultare la sentenza n. 15727 del 24 aprile 2012 della Cassazione sul caso dell’Utri.
Pertanto, per la concretizzazione del concorso esterno in associazione mafiosa, risulta basilare l’elemento soggettivo, ossia la consapevolezza e la volontà del soggetto di concorrere insieme ad altri alla realizzazione di un reato e la certezza che tale aiuto venga offerto in favore di una associazione di tipo mafioso.
L’art. 1 del Codice penale testualmente recita: “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite.” La norma recepisce nel sistema normativo penale il c.d. principio di legalità formale (nullum poena nullum crimen sine lege) secondo cui reato è solo ciò che è previsto come tale dalla legge. E’ un principio di carattere generale, sancito nell'art. 25, comma 2, della Nostra Costituzione, in virtù del quale: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso».
La stessa Suprema Corte, ad esempio, nel processo Dell’Utri ha avuto due pronunciamenti - se non vado errato – un po’ dissimili tra di loro. La prima volta ha rinviato il processo alla Corte di appello di Palermo, dichiarando inammissibile il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Palermo (2012) ed annullando la sentenza impugnata nel capo relativo al reato del quale l’imputato è stato dichiarato colpevole, mandando, per il nuovo giudizio su di esso, ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo”
La seconda volta, invece, ha accolto la sentenza resa dalla Corte di appello di Palermo confermando la condanna dello stesso Dell’Utri a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. (2014).
Noi riteniamo che, sul punto, occorra fare chiarezza una buona volta per sempre ed abbandonare questa giurisprudenza altalenante della Suprema Corte intervenendo legislativamente in Parlamento per colmare questo vuoto normativo dal momento che questo tipo di reato, purtroppo, è ricorrente nel Nostro Paese. Una volta fissati dei paletti chiari in una disposizione di legge lo stesso reato potrà avere ingresso nel C.P. senza incertezze di sorta.
L’occasione è utile per rivolgere un appello, da questo modestissimo Blog, al Governo Renzi – proprio ora che sta mettendo le mani per riformare la giustizia - a volgere lo sguardo verso una più compiuta disciplina di questa figura di reato, inventato, all’epoca, dai giudici Falcone e Borsellino per combattere la criminalità organizzata. Assieme al falso in bilancio diamo ingresso anche al reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Gli Italiani ringraziano! Noi pure!