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Mistero su un conto dello IOR....

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Mistero su un conto dello Ior

Di Maria Loi - 28 novembre 2009 (Fonte: Antimafia2000.it)

Roma. Dopo i numerosi scandali che nel corso degli anni hanno coinvolto lo Ior, ancora una volta la Banca Vaticana finisce in una vicenda alquanto imbarazzante di operazioni finanziarie sospette.

 

In un nuovo fascicolo aperto dalla procura di Roma ci sono alcuni conti correnti aperti dall’Istituto di opere religiose nella filiale di Unicredit di via della Conciliazione a Roma sui quali sono state fatte transitare in modo anonimo ingenti somme di denaro.

L’indagine, per il momento senza indagati, è coperta dal massimo riserbo. Il vero grimaldello degli inquirenti sono i 180 milioni transitati nei conti dello Ior nell’arco di 3 anni, dal 2003 fino al 2006. La segnalazione alla Procura della «non trasparenza» della titolarità dei conti è stata fatta dalla «Unità di informazione finanziaria» (la struttura di «financial intelligence» della Banca d’Italia) al Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza che stava indagando su delega del procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi e del pubblico ministero Stefano Rocco Fava che hanno ipotizzato la violazione delle norme antiriciclaggio.

Dopo l’entrata in vigore della legge 231 del 2007 sulla tracciabilità bancaria, quando si effettua una movimentazione di denaro deve essere indicata la persona fisica, non una sigla. Infatti il sospetto di chi indaga è che, in questo caso specifico, dietro la sigla Ior si possano nascondere persone fisiche o società che tramite il conto presso la ex Banca di Roma abbiano costituito una sorta di bacino finanziario che assicurerebbe flussi di denaro da e per i correntisti protetti dalla discrezione.

La vicenda è assai complessa. Lo Ior, secondo le indagini, avrebbe emesso assegni e bonifici intestati sempre all'Istituto di opere di religione. Anche su questo aspetto sono in corso indagini del nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza per risalire ai beneficiari dei titoli bancari e anche a chi ha emesso sia bonifici, sia assegni.

Secondo quanto si è appreso, per indagare sulla titolarità dei conti correnti i magistrati della procura romana non dovranno fare richiesta di rogatoria allo Stato Vaticano mentre il nuovo presidente dell’Istituto, l’economista Ettore Gotti Tedeschi, ha detto di voler assicurare trasparenza e collaborare con la magistratura.


Processo di Appello per: Calvi, Ciancimino e lo Ior

di Anna Petrozzi - 12 giugno 2009

Al via il processo d’appello per l’omicidio del banchiere. E intanto spuntano nuove indagini tra Roma, il Vaticano e Palermo.

Si aprirà a Roma il 20 ottobre prossimo il processo d’appello per l’ormai accertato omicidio del banchiere Roberto Calvi e a sostenere l’accusa sarà ancora il pubblico ministero Luca Tescaroli applicato per questo caso alla procura generale capitolina.

Il processo di primo grado si era concluso con l’assoluzione per i 5 imputati: Pippo Calò, Emanuela Kleinzig, Flavio Carboni, Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor, ma aveva decretato dopo più di vent’anni una verità ormai incontrovertibile: Roberto Calvi non si è suicidato quel 18 giugno del 1982, è stato ucciso.

Nonostante il lunghissimo arco di tempo il pm Tescaroli era riuscito a ricostruire con dovizia di particolari gli spostamenti che avevano condotto il presidente dell’Ambrosiano a Londra dove invece di vedere consolidate le ultime speranze di salvarsi aveva trovato la morte.

Tuttavia la monumentale mole di documenti e perizie prodotti dall’accusa non era stata ritenuta sufficiente dai giudici di primo grado per accogliere le richieste del pubblico ministero che però aveva subito proposto appello al fine di accertare quella che oggi appare non solo una verità processuale ma anche storica.

L’omicidio di Calvi, così come la morte per avvelenamento di Michele Sindona, sono infatti l’ultimo atto di un complicato intreccio di massoneria, politica, affarismo e mafia che ha profonde radici nel progresso di emancipazione economica del nostro Paese e negli equilibri di potere tuttora esistenti.

Al centro di questo grumo eversivo, questo sì, vi è un protagonista d’eccezione che nonostante le abili e raffinatissime tecniche di maquillage ritorna sempre agli onori della cronaca e soprattutto nelle vicende giudiziarie più delicate: lo IOR, la banca vaticana.

Allo stato gli inquirenti non sanno se le nuove, inedite dichiarazioni del figlio di Don Vito Ciancimino, Massimo, sui denari mafiosi che attraverso il padre transitavano nelle cassette di sicurezza protette dai bastioni di Nicolo V, dopo essere stati distribuiti ai politici della corrente andreottiana in Sicilia e a Provenzano, sfoceranno in un nuovo processo o andranno ad arricchire il faldone d’appello.

Tescaroli infatti ha voluto interrogare Massimo Ciancimino in merito all’intervista da lui rilasciata al giornalista di Panorama Gian Luigi Nuzzi e pubblicata nel suo ultimo libro Mafia Spa (basato sul ritrovamento eccezionale dell’archivio segreto di Monsignor Dardozzi uno dei tre membri del Vaticano a far parte della Commissione bilaterale costituita dallo Stato italiano per accertare la verità sull’Ambrosiano ndr) nella quale racconta come la banca vaticana soddisfacesse appieno anche le esigenze dei mafiosi.

“Allo Ior – risponde Ciancimino a Nuzzi – i movimenti finanziari verso stati esteri erano molto più economici di altri canali, come i classici “spalloni”. Si poteva operare nella totale riservatezza, lasciando una minima offerta alla banca del papa. (…) Mio padre mi ripeteva che queste cassette erano impenetrabili perché era impossibile poter esercitare una rogatoria all’interno della banca dello Stato del Vaticano …”.

Il figlio più piccolo di Don Vito poi fa riferimento a parti della maxi tangente Enimont che avrebbero imboccato le stesse vie di riciclaggio del denaro accumulato illecitamente dal padre e dai suoi soci.

Della madre di tutte le tangenti il libro di Nuzzi, in un generale silenzio da parte dei media e delle parti interessate, riscrive sostanzialmente la storia. E anche se per via della prescrizione non si potranno riaprire nuovi processi, come ci ha spiegato l’autore in una lunga intervista che pubblicheremo assieme ad un’ampia recensione del libro nel prossimo numero cartaceo della nuova ANTIMAFIADuemila, vi sono ancora molti aspetti da indagare del sistema criminale e tangentizio con il quale si è governato e si governa ancora il nostro Paese.

Il semplice fatto che una delle cassette di sicurezza di Ciancimino presso lo Ior sia stata chiusa solo di recente, per ammissione del figlio, la dice lunga su quanto i metodi, i canali e i personaggi siano cambiati poco e niente in tutti questi anni.

L’iscrizione nel registro degli indagati in questi giorni, proprio in seguito alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, del senatore Carlo Vizzini già condannato in primo grado per la tangente Enimont e prescritto in appello, lo dimostrerebbe. Il senatore di Forza Italia, che si è proclamato estraneo ai fatti e si è dimesso immediatamente dalla Commissione Antimafia di cui era membro, avrebbe ricevuto in contanti circa un milione di euro proventi della società Gas Sirco, nel cui atto costitutivo, datato 31 gennaio 1972, il suo nome compariva assieme a quello del tributarista Gianni Lapis, già condannato in primo grado per aver riciclato i soldi del vecchio sindaco di Palermo di cui era prestanome.

La movimentazione di denaro tramite i paradisi fiscali, Ior in testa, rappresenta per le indagini sulla morte di Calvi e non solo, un tassello fondamentale.

Il pm Tescaroli infatti è ancora in attesa di ricevere risposta alla richiesta di rogatoria presentata nel 2005 allo stato di Bahamas dove grazie all’intervento del ministero degli esteri britannico la polizia di Scotland Yard ha individuato a Nassau alcuni conti correnti in cui sarebbero confluiti molti dei soldi spariti dall’Ambrosiano. A causa dei quali Calvi sarebbe stato ucciso per mano della mafia siciliana ma su mandato congiunto con altri di cui non conservava solo i miliardi ma anche delicati segreti.

Tra i mandanti investigati da Tescaroli vi era anche il sempiterno venerabile Licio Gelli la cui posizione, sebbene processualmente archiviata, lascia aperti numerosi buchi neri sulla reale posta in gioco in quegli anni.

Trame, misteri, depistaggi, omissioni sono i tratti della vera storia di questa nostra Italia parallela di cui la maggior parte dei cittadini è assolutamente ignara.

Ma la Verità, prima o poi, diceva qualcuno, da sotto il moggio viene alla Luce.

La pubblicazione dell’archivio Dardozzi, le dichiarazioni di Ciancimino e la voglia della gente di sapere, ormai sempre più manifesta, sono un primo importante segnale.

C'e' anche il Vaticano tra le "lavanderie" delle mafie

di Isidoro Trovato

Lo scenario internazionale I proventi della droga restano la prima fonte del riciclaggio.

Ma emergono due fenomeni: contraffazione e traffico di metalli preziosi C’è anche il Vaticano tra le «lavanderie» Stati Uniti primi, Italia quarta. L’allarme dell’Unicri (Nazioni Unite): ora è più difficile intercettare i flussi

È come cercare di svuotare il mare con un secchiello. Oppure provare a fermare a gesti una mandria di bufali in corsa. Inutile illudersi, la lotta al riciclaggio internazionale di denaro sporco è un’impresa titanica. Lo sanno anche all’Unicri di Torino. L'Unicri è l'Istituto delle Nazioni Unite preposto alla ricerca, formazione, cooperazione tecnica e diffusione delle informazioni sulla prevenzione del crimine e la giustizia. La struttura opera nell’attività di contrasto al crimine organizzato transnazionale, soprattutto per la tratta di esseri umani, prevenzione del terrorismo, della corruzione e di nuovi crimini emergenti quali contraffazione, crimini informatici e reati contro l'ambiente. L'Unicri conduce inoltre programmi di formazione del personale inviato nelle zone di mantenimento della pace in tema di contrasto alla tratta di esseri umani. «L’attività di formazione naturalmente riguarda anche i temi del denaro sporco — precisa Duccio Mazarese, consulente Unicri per la lotta al riciclaggio — ed è rivolta alla magistratura e agli enti di investigazione. Cerchiamo inoltre di promuovere la cooperazione internazionale formale e informale per agevolare i contatti e accelerare le procedure che altrimenti con le rogatorie diventano lunghissime». A cercare di monitorare i flussi di denaro che attraversano il globo da una parte all’altra ci sono le Fiu (Financial intelligence unit) che mettono sotto la lente grandi banche dati alla ricerca di flussi irregolari (al di sopra dei 12.500 euro qualsiasi transazione risulta sospetta). «Ci sono due elementi su cui far leva — spiega Mazarese — i flussi anomali di denaro e quelli che confluiscono a elementi politicamente esposti (per sospetta corruzione). Però si tratta di indicatori, piccole spie che si accendono all’interno dei grandi flussi finanziari che vedono ancora la droga come il settore di gran lunga leader del riciclaggio. A seguire c’è il traffico d’armi, la contraffazione e il traffico dei metalli preziosi (tra cui quelli utili per i programmi nucleari)». Dunque restano i narcotrafficanti colombiani i maggiori attori del riciclaggio mondiale, veri professionisti che investono spesso sul grande mercato Usa. A loro si ispirano emuli nostrani come Matteo Messina Denaro. Non a caso diverse stime internazionali indicano gli Usa al primo posto tra i paesi lavanderia ma l’Italia si guadagna il quarto posto accompagnata dalla Città del Vaticano che viene incredibilmente segnalata all’ottavo posto. I sistemi utilizzati variano: dalle più sofisticate operazioni finanziarie, alla polverizzazione delle cifre affidate ad anonimi affiliati che servono a riempire il mercato di piccoli capitali. «Intanto non bisogna dimenticare — precisa Mazarese — che quasi sempre circa il 70% dei proventi del malaffare viene investito in spese personali (auto, case, viaggi, lusso in genere). Il resto viene reinvestito con metodi molto complessi che spesso sono stati oggetto di studi universitari. Tutto viene registrato e catalogato da sofisticatissimi software utilizzati dai database internazionali. Malgrado tutto però, i database sono molto utili a individuare il reato che sta dietro al riciclaggio un po’ meno a contrastare il riciclaggio di per sé, annegato in un’inondazione di attività finanziarie mondiali». Il fenomeno più in crescita degli ultimi anni è invece la contraffazione, via alternativa per incassare proventi e per riciclare denaro sporco. L’ultimo rapporto dell’Unicri, che include dati forniti dai governi e dalle organizzazioni internazionali, sottolinea la vastità del fenomeno della contraffazione: una pratica criminale in costante crescita che minaccia consumatori ed economie. Secondo la Commissione Europea la contraffazione ammonta al 5-7% del totale del mercato legale. L'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Oecd), invece, sostiene che l'equivalente di più di 200 miliardi di dollari del commercio internazionale sarebbe costituito da prodotti contraffatti o pirata. I settori produttivi più colpiti dal fenomeno sono i giocattoli, l’abbigliamento e i farmaci.


CORRIERE DELLA SERA ONLINE 29 GENNAIO 2008

Scandali, affari e misteri tutti i segreti dello Ior

di Curzio Maltese

L'Istituto Opere Religiose è la banca del Vaticano.

In deposito 5 miliardi di euro Ai correntisti offre rendimenti record,

impermeabilità ai controlli e segretezza totale

LA CHIESA cattolica è l'unica religione a disporre di una dottrina sociale, fondata sulla lotta alla povertà e la demonizzazione del danaro, "sterco del diavolo". Vangelo secondo Matteo: "E' più facile che un cammello passi nella cruna dell'ago, che un ricco entri nel regno dei cieli". Ma è anche l'unica religione ad avere una propria banca per maneggiare affari e investimenti, l'Istituto Opere Religiose.

La sede dello Ior è uno scrigno di pietra all'interno delle mura vaticane. Una suggestiva torre del Quattrocento, fatta costruire da Niccolò V, con mura spesse nove metri alla base. Si entra attraverso una porta discreta, senza una scritta, una sigla o un simbolo. Soltanto il presidio delle guardie svizzere notte e giorno ne segnala l'importanza. All'interno si trovano una grande sala di computer, un solo sportello e un unico bancomat. Attraverso questa cruna dell'ago passano immense e spesso oscure fortune. Le stime più prudenti calcolano 5 miliardi di euro di depositi. La banca vaticana offre ai correntisti, fra i quali come ha ammesso una volta il presidente Angelo Caloia "qualcuno ha avuto problemi con la giustizia", rendimenti superiori ai migliori hedge fund e un vantaggio inestimabile: la totale segretezza. Più impermeabile ai controlli delle isole Cayman, più riservato delle banche svizzere, l'istituto vaticano è un vero paradiso (fiscale) in terra. Un libretto d'assegni con la sigla Ior non esiste. Tutti i depositi e i passaggi di danaro avvengono con bonifici, in contanti o in lingotti d'oro. Nessuna traccia.

Da vent'anni, quando si chiuse il processo per lo scandalo del Banco Ambrosiano, lo Ior è un buco nero in cui nessuno osa guardare. Per uscire dal crac che aveva rovinato decine di migliaia di famiglie, la banca vaticana versò 406 milioni di dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai 1.159 milioni di dollari dovuti secondo l'allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. Lo scandalo fu accompagnato da infinite leggende e da una scia di cadaveri eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel carcere di Voghera, Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio Alessandrini ucciso dai colpi di Prima Linea, l'avvocato Giorgio Ambrosoli freddato da un killer della mafia venuto dall'America al portone di casa.

Senza contare il mistero più inquietante, la morte di papa Luciani, dopo soli 33 giorni di pontificato, alla vigilia della decisione di rimuovere Paul Marcinkus e i vertici dello Ior. Sull'improvvisa fine di Giovanni Paolo I si sono alimentate macabre dicerie, aiutate dalla reticenza vaticana. Non vi sarà autopsia per accertare il presunto e fulminante infarto e non sarà mai trovato il taccuino con gli appunti sullo Ior che secondo molti testimoni il papa portò a letto l'ultima notte. Era lo Ior di Paul Marcinkus, il figlio di un lavavetri lituano, nato a Cicero (Chicago) a due strade dal quartier generale di Al Capone, protagonista di una delle più clamorose quanto inspiegabili carriere nella storia recente della chiesa. Alto e atletico, buon giocatore di baseball e golf, era stato l'uomo che aveva salvato Paolo VI dall'attentato nelle Filippine. Ma forse non basta a spiegare la simpatia di un intellettuale come Montini, autore della più avanzata enciclica della storia, la Populorum Progressio, per questo prete americano perennemente atteggiato da avventuriero di Wall Street, con le mazze da golf nella fuoriserie, l'Avana incollato alle labbra, le stupende segreterie bionde e gli amici di poker della P2.

Con il successore di papa Luciani, Marcinkus trova subito un'intesa. A Karol Wojtyla piace molto quel figlio di immigrati dell'Est che parla bene il polacco, odia i comunisti e sembra così sensibile alle lotte di Solidarnosc. Quando i magistrati di Milano spiccano mandato d'arresto nei confronti di Marcinkus, il Vaticano si chiude come una roccaforte per proteggerlo, rifiuta ogni collaborazione con la giustizia italiana, sbandiera i passaporti esteri e l'extraterritorialità. Ci vorranno altri dieci anni a Woytjla per decidersi a rimuovere uno dei principali responsabili del crac Ambrosiano dalla presidenza dello Ior. Ma senza mai spendere una parola di condanna e neppure di velata critica: Marcinkus era e rimane per le gerarchie cattoliche "una vittima", anzi "un'ingenua vittima".

Dal 1989, con l'arrivo alla presidenza di Angelo Caloia, un galantuomo della finanza bianca, amico e collaboratore di Gianni Bazoli, molte cose dentro lo Ior cambiano. Altre no. Il ruolo di bonificatore dello Ior affidato al laico Caloia è molto vantato dalle gerarchie vaticane all'esterno quanto ostacolato all'interno, soprattutto nei primi anni. Come confida lo stesso Caloia al suo diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Galli, autore di un libro fondamentale ma introvabile, Finanza bianca (Mondadori, 2003). "Il vero dominus dello Ior - scrive Galli - rimaneva monsignor Donato De Bonis, in rapporti con tutta la Roma che contava, politica e mondana. Francesco Cossiga lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti lo teneva in massima considerazione. E poi aristocratici, finanzieri, artisti come Sofia Loren. Questo spiegherebbe perché fra i conti si trovassero anche quelli di personaggi che poi dovevano confrontarsi con la giustizia. Bastava un cenno del monsignore per aprire un conto segreto".

A volte monsignor De Bonis accompagnava di persona i correntisti con i contanti o l'oro nel caveau, attraverso una scala, in cima alla torre, "più vicino al cielo". I contrasti fra il presidente Caloia e De Bonis, in teoria sottoposto, saranno frequenti e duri. Commenta Giancarlo Galli: "Un'aurea legge manageriale vuole che, in caso di conflitto fra un superiore e un inferiore, sia quest'ultimo a soccombere. Ma essendo lo Ior istituzione particolarissima, quando un laico entra in rotta di collisione con una tonaca non è più questione di gradi".

La glasnost finanziaria di Caloia procede in ogni caso a ritmi serrati, ma non impedisce che l'ombra dello Ior venga evocata in quasi tutti gli scandali degli ultimi vent'anni. Da Tangentopoli alle stragi del '93 alla scalata dei "furbetti" e perfino a Calciopoli. Ma come appare, così l'ombra si dilegua. Nessuno sa o vuole guardare oltre le mura impenetrabili della banca vaticana.

L'autunno del 1993 è la stagione più crudele di Tangentopoli. Subito dopo i suicidi veri o presunti di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, la mattina del 4 ottobre arriva al presidente dello Ior una telefonata del procuratore capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli: "Caro professore, ci sono dei problemi, riguardanti lo Ior, i contatti con Enimont...". Il fatto è che una parte considerevole della "madre di tutte le tangenti", per la precisione 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, è transitata dallo Ior. Sul conto di un vecchio cliente, Luigi Bisignani, piduista, giornalista, collaboratore del gruppo Ferruzzi e faccendiere in proprio, in seguito condannato a 3 anni e 4 mesi per lo scandalo Enimont e di recente rispuntato nell'inchiesta "Why Not" di Luigi De Magistris. Dopo la telefonata di Borrelli, il presidente Caloia si precipita a consulto in Vaticano da monsignor Renato Dardozzi, fiduciario del segretario di Stato Agostino Casaroli. "Monsignor Dardozzi - racconterà a Galli lo stesso Caloia - col suo fiorito linguaggio disse che ero nella merda e, per farmelo capire, ordinò una brandina da sistemare in Vaticano. Mi opposi, rispondendogli che avrei continuato ad alloggiare all'Hassler. Tuttavia accettai il suggerimento di consultare d'urgenza dei luminari di diritto. Una risposta a Borrelli bisognava pur darla!". La risposta sarà di poche ma definitive righe: "Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale".

I magistrati del pool valutano l'ipotesi della rogatoria. Lo Ior non ha sportelli in terra italiana, non emette assegni e, in quanto "ente fondante della Città del Vaticano", è protetto dal Concordato: qualsiasi richiesta deve partire dal ministero degli Esteri. Le probabilità di ottenere la rogatoria in queste condizioni sono lo zero virgola. In compenso l'effetto di una richiesta da parte dei giudici milanesi sarebbe devastante sull'opinione pubblica. Il pool si ritira in buon ordine e si accontenta della spiegazione ufficiale: "Lo Ior non poteva conoscere la destinazione del danaro".

Il secondo episodio, ancora più cupo, risale alla metà degli anni Novanta, durante il processo per mafia a Marcello Dell'Utri. In video conferenza dagli Stati Uniti il pentito Francesco Marino Mannoia rivela che "Licio Gelli investiva i danari dei corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano". "Lo Ior garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione". Fin qui Mannoia fornisce informazioni di prima mano. Da capo delle raffinerie di eroina di tutta la Sicilia occidentale, principale fonte di profitto delle cosche. Non può non sapere dove finiscono i capitali mafiosi. Quindi va oltre, con un'ipotesi. "Quando il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) venne in Sicilia e scomunicò i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché portavano i loro soldi in Vaticano. Da qui nacque la decisione di far esplodere due bombe davanti a due chiese di Roma". Mannoia non è uno qualsiasi.

E' secondo Giovanni Falcone "il più attendibile dei collaboratori di giustizia", per alcuni versi più prezioso dello stesso Buscetta. Ogni sua affermazione ha trovato riscontri oggettivi. Soltanto su una non si è proceduto ad accertare i fatti, quella sullo Ior. I magistrati del caso Dell'Utri non indagano sulla pista Ior perché non riguarda Dell'Utri e il gruppo Berlusconi, ma passano le carte ai colleghi del processo Andreotti. Scarpinato e gli altri sono a conoscenza del precedente di Borrelli e non firmano la richiesta di rogatoria. Al palazzo di giustizia di Palermo qualcuno in alto osserva: "Non ci siamo fatti abbastanza nemici per metterci contro anche il Vaticano?".

Sulle trame dello Ior cala un altro sipario di dieci anni, fino alla scalata dei "furbetti del quartierino". Il 10 luglio dell'anno scorso il capo dei "furbetti", Giampiero Fiorani, racconta in carcere ai magistrati: "Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della Santa Sede che saranno, non esagero, due o tre miliardi di euro". Al pm milanese Francesco Greco, Fiorani fa l'elenco dei versamenti in nero fatti alle casse vaticane: "I primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo Lara (presidente dell'Apsa, l'amministrazione del patrimonio immobiliare della chiesa, ndr), quando ho comprato la Cassa Lombarda. M'ha chiesto trenta miliardi di lire, possibilmente su un conto estero".

Altri seguiranno, molti a giudicare dalle lamentele dello stesso Fiorani nell'incontro con il cardinale Giovanni Battista Re, potente prefetto della congregazione dei vescovi e braccio destro di Ruini: "Uno che vi ha sempre dato i soldi, come io ve li ho sempre dati in contanti, e andava tutto bene, ma poi quando è in disgrazia non fate neanche una telefonata a sua moglie per sapere se sta bene o male". Il Vaticano molla presto Fiorani, ma in compenso difende Antonio Fazio fino al giorno prima delle dimissioni, quando ormai lo hanno abbandonato tutti. Avvenire e Osservatore Romano ripetono fino all'ultimo giorno di Fazio in Bankitalia la teoria del "complotto politico" contro il governatore. Del resto, la carriera di questo strano banchiere che alle riunioni dei governatori centrali non ha mai citato una volta Keynes ma almeno un centinaio di volte le encicliche, si spiega in buona parte con l'appoggio vaticano. In prima persona di Camillo Ruini, presidente della Cei, e poi di Giovanni Battista Re, amico intimo di Fazio, tanto da aver celebrato nel 2003 la messa per il venticinquesimo anniversario di matrimonio dell'ex governatore con Maria Cristina Rosati.

Naturalmente neppure i racconti di Fiorani aprono lo scrigno dei segreti dello Ior e dell'Apsa, i cui rapporti con le banche svizzere e i paradisi fiscali in giro per il mondo sono quantomeno singolari. E' difficile per esempio spiegare con esigenze pastorali la decisione del Vaticano di scorporare le Isole Cayman dalla naturale diocesi giamaicana di Kingston, per proclamarle "missio sui iuris" alle dirette dipendenze della Santa Sede e affidarle al cardinale Adam Joseph Maida, membro del collegio dello Ior.

Il quarto e ultimo episodio di coinvolgimento dello Ior negli scandali italiani è quasi comico rispetto ai precedenti e riguarda Calciopoli. Secondo i magistrati romani Palamara e Palaia, i fondi neri della Gea, la società di mediazione presieduta dal figlio di Moggi, sarebbero custoditi nella banca vaticana. Attraverso i buoni uffici di un altro dei banchieri di fiducia della Santa Sede dalla fedina penale non immacolata, Cesare Geronzi, padre dell'azionista di maggioranza della Gea. Nel caveau dello Ior sarebbe custodito anche il "tesoretto" personale di Luciano Moggi, stimato in 150 milioni di euro. Al solito, rogatorie e verifiche sono impossibili. Ma è certo che Moggi gode di grande considerazione in Vaticano. Difeso dalla stampa cattolica sempre, accolto nei pellegrinaggi a Lourdes dalla corte di Ruini, Moggi è da poco diventato titolare di una rubrica di "etica e sport" su Petrus, il quotidiano on-line vicino a papa Benedetto XVI, da dove l'ex dirigente juventino rinviato a giudizio ha subito cominciato a scagliare le prime pietre contro la corruzione (altrui).

Con l'immagine di Luciano Moggi maestro di morale cattolica si chiude l'ultima puntata dell'inchiesta sui soldi della Chiesa. I segreti dello Ior rimarranno custoditi forse per sempre nella torre-scrigno. L'epoca Marcinkus è archiviata ma l'opacità che circonda la banca della Santa Sede è ben lontana dallo sciogliersi in acque trasparenti. Si sa soltanto che le casse e il caveau dello Ior non sono mai state tanto pingui e i depositi continuano ad affluire, incoraggiati da interessi del 12 per cento annuo e perfino superiori. Fornire cifre precise è, come detto, impossibile. Le poche accertate sono queste. Con oltre 407 mila dollari di prodotto interno lordo pro capite, la Città del Vaticano è di gran lunga lo "stato più ricco del mondo", come si leggeva nella bella inchiesta di Marina Marinetti su Panorama Economy. Secondo le stime della Fed del 2002, frutto dell'unica inchiesta di un'autorità internazionale sulla finanza vaticana e riferita soltanto agli interessi su suolo americano, la chiesa cattolica possedeva negli Stati Uniti 298 milioni di dollari in titoli, 195 milioni in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine, più joint venture con partner Usa per 273 milioni.

Nessuna autorità italiana ha mai avviato un'inchiesta per stabilire il peso economico del Vaticano nel paese che lo ospita. Un potere enorme, diretto e indiretto. Negli ultimi decenni il mondo cattolico ha espugnato la roccaforte tradizionale delle minoranze laiche e liberali italiane, la finanza. Dal tramonto di Enrico Cuccia, il vecchio azionista gran nemico di Sindona, di Calvi e dello Ior, la "finanza bianca" ha conquistato posizioni su posizioni. La definizione è certo generica e comprende personaggi assai distanti tra loro. Ma tutti in relazione stretta con le gerarchie ecclesiastiche, con le associazioni cattoliche e con la prelatura dell'Opus Dei. In un'Italia dove la politica conta ormai meno della finanza, la chiesa cattolica ha più potere e influenza sulle banche di quanta ne avesse ai tempi della Democrazia Cristiana. (Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco) la repubblica edizione nazionale 26 gennaio 2008

NOSTRO COMMENTO: La Chiesa di Cristo che consente riciclaggi di danaro sporco ed operazioni finanziarie, attraverso la banca dello IOR, a gente senza scrupoli facendo finta di ignorare le più elementari regole di vigilanza. Rammenti la Chiesa quanto scritto nel Vangelo secondo Matteo: "E' PIU’ FACILE CHE UN CAMMELLO PASSI NELLA CRUNA DELL’AGO, CHE UN RICCO ENTRI NEL REGNO DEI CIELI.” NON LO DIMENTICHI! OGNI TANTO SE LO RIPASSI!

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