Possibili effetti colllaterali della seconda dose del vaccino Anti Covid
Brividi, qualche linea di febbre, mal di testa, nausea, dolore al braccio. Rispetto alla prima dose dei vaccini in corso di somministrazione contro il SARS-CoV-2 sono, questi, alcuni dei fastidi potenzialmente connessi alla seconda iniezione dopo poche settimane. Fenomeni del tutto passeggeri e senza conseguenze di sorta, ai quali sembrano più esposti i giovani e che non sono una sorpresa per i ricercatori. All’addestramento iniziale con cui l’organismo impara a riconoscere il coronavirus come nemico, segue in sostanza una nuova spinta finalizzata a garantire una maggiore (e più duratura) protezione.
Pochi trattamenti con rapporto beneficio/rischio così alto
«Se questo diffondersi dell’informazione può di per sé generare timori, soprattutto nelle persone che vedono avvicinarsi la data stabilita per la vaccinazione, i dati sin qui disponibili sono però del tutto rassicuranti soprattutto perché gli effetti collaterali registrati “sul campo” non sono dissimili né per tipologia né per incidenza da quelli osservati negli studi clinici che hanno testato i vaccini anti Covid e ne hanno dimostrato la assoluta sicurezza», spiega Raffaele Landolfi, professore di Medicina interna e direttore scientifico del Gemelli Training Center. «Né si deve preoccupare della possibile inefficacia della vaccinazione chi, come me, ha avuto pochissimi sintomi dopo la prima dose e nessun sintomo dopo la seconda. Poche cose nel nostro organismo hanno maggiore variabilità della risposta individuale agli stimoli infiammatori. E pochi trattamenti medici hanno un rapporto beneficio/rischio così alto come le vaccinazioni».
Conseguenze di una più vivace reazione dell’organismo
Tra gli operatori sanitari ai quali sono stati somministrati i vaccini Pfizer e Moderna, in uso ormai da più di un mese, circa un terzo ha manifestato transitori effetti collaterali quali dolori muscolari e/o febbre ma si è trattato di sintomi di breve durata e molto variabili da soggetto a soggetto. «Spesso sono stati più evidenti dopo la seconda dose a dimostrazione del fatto che questi maggiori effetti sono generati da una più vivace reazione dell’organismo alla seconda dose di vaccino», evidenzia Landolfi. «E in effetti la seconda dose ha proprio la funzione di evocare la massima risposta immunologica per dare una copertura più efficace e prolungata. Quindi niente di nuovo, di inatteso o preoccupante nemmeno nella popolazione anziana in cui il programma vaccinale è stato avviato da qualche settimana».
Dagli anticorpi maggiore capacità di rispondere alle mutazioni
In sostanza, secondo Greg Poland, che guida il gruppo di ricerca sui vaccini della Mayo Clinic, «dando una dose “di addestramento” e poi amplificandola con la seconda abbiamo sostanzialmente reclutato un esercito di soldati pronti e l’organismo è più preparato quando arriva l’invasione vera e propria». Questa amplificazione non solo rende la risposta immunitaria più efficace, ma la aiuta anche a durare più a lungo. E aumentando i livelli di anticorpi il corpo sarà anche più capace di rispondere alle mutazioni osservate come le varianti del Regno Unito e del Sud Africa, come affermato dall’immunologo Anthony Fauci.
Al via alla Sapienza studio sugli effetti della vaccinazione
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La Sapienza di Roma e il Policlinico Umberto I da oggi sono impegnati insieme nel monitoraggio clinico e immunologico di tutti i soggetti sottoposti a vaccinazione anti-SARS-CoV-2. Lo studio comprenderà circa diecimila soggetti con lo scopo di valutare la risposta anticorpale nei soggetti vaccinati e di analizzare le associazioni del tipo di risposta con variabili importanti come l’età, il sesso, la presenza di comorbidità e le condizioni socioeconomiche. In tutti i soggetti verranno anche registrati gli eventi avversi dopo la vaccinazione. Lo scopo è valutare in tutti i soggetti la quantità e qualità della risposta immunitaria anti-Spike indotta dalla vaccinazione e di seguire contemporaneamente la dinamica dell’eventuale infezione e l’efficacia protettiva del vaccino, tramite la misurazione del titolo di anticorpi contro la nucleoproteina (N), specifici dell’infezione naturale. Tutti i soggetti verranno valutati anche a distanza di 6 e 12 mesi dall’inizio della vaccinazione. L’Istituto Superiore di Sanità, che collaborerà allo studio, si occuperà, nel caso di infezione dopo vaccinazione, della ricerca delle possibili varianti virali.
Variante inglese candidata a diventare dominante
La cosiddetta variante inglese del SARS-CoV-2, già presente in oltre cinquanta Paesi, diventerà dominante nel mondo a dire della direttrice del programma di sorveglianza genetica del Regno Unito (Covid-19 Genomics UK consortium), Sharon Peacock. «Prima ha spazzato il Paese, ma si avvia a spazzare tutto il mondo, con ogni probabilità. Il nostro lavoro di sequenziamento delle varianti del virus continuerà a essere richiesto per almeno dieci anni». Secondo l’esperta, i vaccini approvati in Gran Bretagna sembrano funzionare contro le varianti del virus presenti nel Paese. «Anche se è normale vedere varianti sul virus, solo un piccolo numero ha delle speciali caratteristiche, che possono renderlo più trasmissibile, fargli evitare gli anticorpi o influire sul vaccino o causare una forma di malattia più grave».