Ripresa o default? Paolo Cardenà illustra i possibili esiti dell’attuale congiuntura economica
di Simone Casavecchia | 4 Agosto 2014
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Una ripresa inesistente e i pericoli, sempre più concreti, di un nuovo default economico spiegati da Paolo Cardenà in un’intervista esclusiva.
Paolo Cardenà lavora da oltre quindici anni come Private Banker presso i maggiori Gruppi Bancari italiani ed è anche socio cofondatore di una società attiva nella consulenza finanziaria, tributaria, fiscale e gestionale alle imprese.
All’attività professionale Paolo Cardenà affianca l’attività di divulgazione e di informazione, sempre in ambito economico e finanziario, curando il blog vincitorievinti.com, seguito da un vasto numero di lettori; nei suoi articoli ha affrontato a più riprese, importanti argomenti di natura politico-economica sia a livello nazionale, che internazionale.
Buon giorno e grazie per il tempo che ha deciso di dedicarci.
Nonostante il mantra della ripresa a cui ci ha abituato l’attuale governo negli ultimi mesi, i dati Istat sulla produzione industriale italiana raccontano una storia ben diversa, con un dato tendenziale annuo che segna un -1,8%. Cosa ne pensa?
In realtà il mantra della ripresa economica non è qualcosa che appartiene solo all’attuale governo. Dall’inizio della crisi economica tutti i governi che si sono succeduti, a partire dal Governo Berlusconi, hanno clamorosamente fallito le previsioni di crescita, quindi anche quelle sul deficit e sull’andamento del debito pubblico. E’ una ritualità che si è consumata in questi anni di crisi e che appartiene a tutti i governi che si sono succeduti. Per riscontralo è sufficiente farsi un giro nel sito del MEF e analizzare le previsioni di crescita contenute nei DEF dei rispettivi governi. Il risultato di questo modo di operare è quello di trovarsi sempre nella necessità di dover agire per contenere i conti pubblici, minati da buchi di bilancio causati da una crescita inesistente, almeno fino a questo momento. Tant’è che, proprio in questi giorni, sulla stampa si è letto che in autunno si avrà bisogno di una manovra di oltre 20 miliardi. Cosa che, a dire il vero, era facilmente intuibile già in aprile dopo la pubblicazione del DEF che, per il 2014, stima una crescita del PIL nominale dell’1.7%; crescita del tutto irrealizzabile stante la debolezza dell’attività economica e le forti spinte disinflazionistiche che rendono irraggiungibile la performance ipotizzata dal governo.
La stessa tendenza di bassa crescita, anche se di intensità minore, sembra essere seguita anche da Francia e Germania. Perché l’Europa continua a essere in crisi, a suo modo di vedere?
Posso dirle che in un’area valutaria non ottimale quale quella dell’euro, in presenza di uno shock esterno come quello prodotto dal fallimento della Lehman Brothers nel 2008 con il conseguente crollo dell’attività economica, dei livelli di commercio internazionale, e con l’esplosione dei debiti pubblici (in un primo momento dovuta ai vari salvataggi bancari nel contesto europeo e, successivamente, alla contrazione dell’attività economica), comandare (da parte tedesca) a molti paesi del’Eurozona una stretta fiscale simultanea di queste dimensioni, corrisponde ad un vero e proprio suicidio economico, oltreché politico. Peraltro in un contesto di crescita globale non entusiasmante e quindi non idoneo a stimolare l’attività economica dei singoli paesi per via di esportazioni a livelli idonei (peraltro impensabili) ad arginare gli effetti del crollo della domanda interna. Ecco quindi che, in Italia (ma anche altrove) la caduta dei livelli di attività economica non ha fatto altro che creare pressioni sul mercato del lavoro, con la disoccupazione esplosa a livelli allarmanti ed inaccettabili. Quindi la minore capacita di consumo delle famiglie, aggravata da un feroce inasprimento della pressione fiscale, ha aggravato ulteriormente la crisi che si è manifestata in modo dirompente colpendo, a mio avviso, molto gravemente, una parte significativa del tessuto produttivo ed imprenditoriale nazionale, facendo esplodere le sofferenze bancarie giunte a circa 170 miliardi di euro, minando sempre più i bilanci banche, costrette a ridimensionare i volumi di credito concessi ad imprese e famiglie, ed innescando così un circolo vizioso dal quale uscirne sarà impresa assai ardua.
La gestione di questa crisi (soprattutto da parte tedesca) è il simbolo del fallimento totale dell’Eurozona per come l’abbiamo conosciuta fino a questo momento. Quindi, l’Eurozona, o si riforma molto rapidamente convergendo verso una unione politica, economica e fiscale capace di compensare al proprio interno le asimmetrie economiche esistenti in nazioni economicamente (e non solo) divergenti, oppure verrà condannata dai fatti alla dissoluzione, con il conseguente crollo della moneta unica e il ritorno alle valute nazionali. Circostanza, questa, per il momento solamente evitata (rimandata) grazie agli interventi espansivi della Bce che nel 2012 ha evitato l’implosione del sistema bancario. A par mio, appare assai remota la possibilità che l’Europa possa riuscire a riformare se stessa e a costituirsi in forma federale in tempi abbastanza solleciti e comunque in sintonia con i tempi richiesti dalla gravità della crisi.
In un recente articolo, pubblicato sul suo blog, Lei mette in guardia sul pericolo di un nuovo default finanziario. È davvero uno scenario concreto?
Dall’inizio del 2009 fino ad oggi il debito pubblico, nonostante tutte le manovre lacrime e sangue varate, è aumentato di oltre 400 miliardi di euro. Per contro si è assistito ad un forte ridimensionamento del Pil. Tant’è che il rapporto debito/Pil è passato dal 103% del 2007 a quasi il 140% attuale. Oggi il debito pubblico è assai meno sostenibile di quanto lo fosse solo qualche anno fa; e che si possa giungere a qualche forma di ristrutturazione del debito pubblico, direi che è nell’ordine delle cose. Giova ricordare che, già dal gennaio 2013, il debito pubblico emesso dalla Stato italiano nelle scadenze superiori a 12 mesi, è emesso in vigenza delle clausole di azione collettiva, che, al raggiungimento di determinati livelli di adesione degli investitori, consento alla Stato italiano modificare le caratteristiche dei titoli emessi. Ecco quindi che potrebbe modificare la data dei pagamenti di cedole e rimborsi, il tasso di interessi o addirittura decurtare il capitale rimborsato alla scadenza dei titoli di Stato.
Può illustrare quali sono i campanelli d’allarme più preoccupanti in questo settore?
Ogni bancarotta che si rispetti presuppone tempi di incubazione relativamente non brevi, dove si manifestano dinamiche in via di principio comuni a tutti i default. Queste sono: repentini mutamenti di governi, anche con presa del potere da parte di persone non elette; fallimenti e sostanziali ridimensionamenti di realtà produttive; innalzamento della disoccupazione; crolli della borsa, specie dei titoli legati alla finanza ed al credito; repentini aumenti della pressione fiscale; significativa riduzione delle liquidità depositati presso gli istituti di credito; cessione di quote di sovranità in cambio di aiuti o denaro fresco; intervento di organismi internazionali (FMI, Troika). Molte delle caratteristiche enunciate si sono già concretizzate. Altre, invece (tassi a breve che superano i tassi a medio a lungo termine, crollo del rapporto bid-to-cover nelle aste dei titoli di stato ecc ecc), pur essendosi affacciate nello scenario già alla fine del 2011, sono state arginate dagli interventi della BCE. Ma ciò non esclude la possibilità che si possa comunque giungere a qualche forma di ristrutturazione del debito, o a qualche forma di imposizione patrimoniale che consenta di recuperare risorse da destinare all’abbattimento del debito pubblico. Come lei saprà, attualmente le banche italiane detengono circa 400 miliardi di titoli di stato. Questa circostanza, a mio avviso, fino a quando il sistema bancario navigherà in condizioni di debolezza come quella in cui versa allo stato attuale, in realtà costituisce un deterrente e un disincentivo ad idee di ristrutturazione del debito pubblico, poiché presupporrebbe anche il fallimento di una parte non del tutto trascurabile del sistema bancario che non riuscirebbe ad assorbire il colpo derivante da un possibile taglio dei valori del debito pubblico in portafoglio. A meno che il governo non inventi qualche forma di sostegno pubblico accessorio, destinato la sistema bancario, tale da mitigare l’impatto che deriverebbe dai un haircut del debito. Il che non sarebbe affatto da escludere.
L’abbattimento di un aereo malese sembra essere il simbolo più evidente del fatto che le attuali crisi geopolitiche potrebbero avere una risonanza ben più ampia dei confini in cui si svolgono. Oltre all’Ucraina anche il Medio Oriente con la recente crisi israelo - palestinese e le sommosse irachene manda segnali alquanto preoccupanti al resto del mondo. Cosa ne pensa?
Lo scenario geopolitico che si sta esprimendo in molte aree del mondo non è affatto rassicurante. Lei ha citato alcune crisi, ma, a mio avviso, quella che desta maggiori elementi di preoccupazione ed inquietudine, è proprio quella ucraina, dove l’asticella è stata spostata in un territorio molto pericoloso. In quella area sono state commesse delle gravi violazioni e ingerenze da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, che hanno peggiorato la dinamica della crisi, che potrebbe avere conseguenza assai imprevedibili. A mio avviso, in quel contesto (ma anche altrove) è stato violato il principio di autodeterminazione dei popoli. Proprio come è avvenuto in tutti gli scenari dove si è cercato di esportare la democrazia. Ma, come ho già avuto modo di scrivere, la democrazia non ha gli stessi connotati per tutti i popoli del mondo, e soprattutto presuppone dinamiche ed equilibri complessi, che variano in ragione ad imponderabili aspetti, circostanze, culture e storie. Ogni popolo ha il diritto (oltre che il dovere) di disegnarsi il perimetro entro il quale esercitare la propria democrazia, dotandola degli elementi più consoni al proprio status, nei modi ritenuti più opportuni e in ragione alle rispettive culture, alle proprie storie e aspirazioni. La democrazia non è standardizzabile. La democrazia non è qualcosa di perfetto. Men che meno esportabile. La democrazia né si compra, né si vende. La democrazia la si conquista e basta: in un percorso perpetuo che non conosce mai fine. Perché la democrazia è sempre perfezionabile. Guardi in giro per il modo, in quei paesi teatro di eventi bellici apparentemente finalizzati ad esportare democrazia e pace. Osservi l’Iraq, l’ Afghanistan, la Libia, solo per citare alcuni esempi. Sono tutti paesi che hanno subito pesanti attacchi militari, in nome della democrazia imposta e della pace indotta. Hanno subito cambi di regimi o di governi. Hanno patito morte, distruzione e disperazione. Eppure, ancora oggi, dopo molti anni, tutto sembrano tranne che democratizzati o pacificati. Ogni popolo ha il diritto di trovare e percorre la propria strada, il proprio destino. E di poterlo fare liberamente, lontano dai precetti imposti da qualsiasi mano apparentemente celeste, come se fosse l’unica depositaria di bene e verità assoluta.
Quali possono essere le conseguenze economiche dell’attuale scenario geopolitico?
Venendo alle conseguenze economiche, al netto del dramma che stanno vivendo le popolazioni colpite dalle tragedie che abbiamo enunciato, possiamo dire che molte economie che sono tutt’ora in crisi (tra cui l’Italia) si mantengono a galla proprio grazie al contributo della componente export. E’ chiaro che un eventuale peggioramento dello scenario geopolitico rischierebbe di ridurre l’attività economica a livello globale, con conseguente contrazione della quota export che precipiterebbe in recessione proprio quelle economie più vulnerabili. In questo contesto, le sanzioni imposte alla Russia da parte dell’occidente, rischiano di peggiorare notevolmente la dinamica della quota export proprio di quei paesi che godono di scambi commerciali significativi verso la Russia, tra cui l’Italia. Grazie della collaborazione.
IL NOSTRO COMMENTO: Concordiamo quasi in toto su quanto espresso dal Banker, Paolo Cardenà. Laddove abbiamo qualche perplessità è quando si afferma che “tutti i Governi succedutesi fino ad oggi, a partire dal Governo Berlusconi hanno clamorosamente fallito le previsioni di crescita…ecc…” Secondo Noi non è così. I politici sapevano e facevano finta di non sapere. In buona sostanza ai Governi passati era nota la precarietà della crescita e l’abnorme debito pubblico che andava accumulandosi di anno in anno in Italia. I politici hanno voluto però nascondere la reale situazione economico-finanziaria del Paese per non compromettere la loro politica di adesione alle grandi lobbies finanziarie Europee! Per questo - come ci ha sopra illustrato Paolo Cordenà - la situazione del Ns Paese è molto più grave di quello che appare. Certo, da Noi – a differenza degli altri Stati Europei - il fenomeno è molto più accentuato per via della “corruzione”, ma, è esteso in tutta l’Eurozona. Cosa conviene fare a questo punto? Abbandonare questa strana Europa dell’Euro - nata male - ed, eventualmente, ricominciare su altre basi: prima politiche e poi economiche. Forse si riuscirà, in un lontano futuro, ad ottenere qualcosa. Sempre che gli uomini, nel frattempo, non abbiano distrutto il mondo con le guerre!