DOBBIAMO SPEZZARE L'ASSE FRANCO-TEDESCO. Paolo Becchi
Fonte e link: byoblu
Pubblicato il 08 ago 2015
Un'esclusiva video intervista a Paolo Becchi in occasione del suo articolo di oggi sul Corriere della Sera "Non ci vuole più Europa".
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Quello che è successo in questi giorni in Grecia dovrebbe, al di là delle forti e contrastate emozioni suscitate dal momento, far riflettere sul senso della costruzione europea. Può essere utile, sia pure a volo d’uccello, ripercorrere le tappe principali, per vedere la lezione che ne possiamo trarre.
Contrariamente a quanto, soprattutto nel nostro Paese si continua ancora a pensare, la fondazione dell’Europa a partire dal secondo dopoguerra non a ha niente a che fare con Altiero Spinelli e Ernesto Rossi e il loro Manifesto di Ventotene, in cui si auspicava l’unione politica dell’ Europa in una prospettiva liberalsocialista.
Sin dall’inizio l’accento è posto non sulla politica e sulla necessità di sottoporre ad essa „le forze dell’ economia“, come voleva Spinelli, ma sull’ economia in quanto tale. Certo, l’Europa uscita indebolita da due guerre laceranti voleva anzitutto la pace, cercò tuttavia di realizzarla non unendosi politicamente, bensì creando un’organizzazione internazionale, all’interno della quale gli Stati nazionali mantenevano intatta la loro sovranità.
Nacque così nel corso degli anni Cinquanta la CEDA, la Comunità Europea del Carbone e dell’ Acciaio e poi la Comunità Economica Europea. Il nucleo originario era composto da sei Paesi, tra cui il nostro, ma sin dall’inizio era predominante l’asse franco-tedesco. Konrad Adenauer e Robert Schuman dettavano la linea, rispettosi peraltro dell’autonomia dei singoli Stati. Gli anni Sessanta e Settanta sono caratterizzati da una politica economica di stampo keynesiano; in Germania si afferma però qualcosa di peculiare, quella che viene chiamata l’ „economia sociale di mercato“. Nasce in Europa il modello del Welfare State: lo Stato interviene nell’ economia per garantire la giustizia sociale, con un aumento della spesa pubblica e dei salari dei lavoratori.
Questo modello entra in crisi già agli inizi degli anni Ottanta, per ragioni sulle quali non è possibile qui soffermarsi, e si afferma una politica economica opposta, sempre più connotata in senso neoliberale o per far riferimento alla Germania „ordoliberale“. Una politica economica già prefigurata in Germania dal modello dell’ economia sociale di mercato.
È l’era thatcheriana e reganiana: meno Stato e più mercato, e mercato significa concorrenza libera e generalizzata. A ciò si aggiunge una politica monetaria fondata sulla stabilità della moneta e sul controllo dei prezzi. Lo Stato non ha più il compito di promuovere socialmente il bene, ma di evitare il male. E il male assoluto è l’ inflazione, vale a dire la creazione eccessiva di moneta di cui sono responsabili quei governi nazionali che con politiche di bilancio anticicliche e politiche di investimento che fanno aumentare la spesa pubblica provocano inflazione e distorsione del mercato.
È in questo nuovo contesto che avviene in Europa una svolta epocale con il Trattato di Maastricht, la creazione dell’ Unione Europea e il progetto in esso contenuto della moneta unica. Siamo agli inizi degli anni Novanta; nello stesso periodo un’altra unione si è realizzata: quella della Germania nel contesto della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Un altro Cancelliere si imporrà con forza, Helmuth Kohl per realizzare questo progetto. Mitterand temeva la potenza tedesca e pensava che una moneta unica potesse legare la Germania all’Europa. Ma per una sorta di quelle ironie che nella storia sono tutt’altro che infrequenti la nuova moneta creata frettolosamente, e senza prima realizzare le condizioni che avrebbero potuto sostenerla, ha finito per favorire proprio per la Germania. Invece di „europeizzare“ la Germania si è finito col „germanizzare“ l’ Europa, imponendo ad essa una politica di austerità necessaria per sostenere la moneta unica, una moneta nei fatti impossibile per economie così diverse.
Il risultato oggi è che non esistono più Stati sovrani, ma Stati creditori e Stati debitori. Non ci facciamo più la guerra con la armi, ma con il denaro e a colpi di spread e di milioni di disoccupati.
Bisognerebbe prendere atto del fallimento del progetto di questa Europa e ripensarla dalle sue fondamenta. E invece tutto ancora si concentra sulla opposizione del grande creditore nei confronti del piccolo debitore. E questo che cerca di resistere. E poi ne esce con le ossa rotta. Punito, offeso nella sua dignità, solo per aver tentato di opporsi allo strapotere del creditore. Germania contro Grecia, e non si tratta di una partita di calcio.
Viene da chiedersi perché? Perché questa cecità? Certo, le responsabilità della Cancelliera Merkel sono grandi. Adenauer è ricordato come il Cancelliere del miracolo economico tedesco, Kohl della sia pure controversa unificazione tedesca, Merkel verrà ricordata per non essere stata in grado di risolvere un problema che riguarda 11 milioni di persone, appunto i greci e aver distrutto le economie di altre Paesi europei, tra cui il nostro, per aver distrutto l’ idea di Europa. L’accordo raggiunto non risolve i problemi, ma riduce la Grecia ad una colonia della Germania.
Anche questa spiegazione peraltro è insufficiente.
Con la moneta unica si è tentato in fondo di realizzare ciò che è fallito con il progetto di una costituzione europea e cioè una unificazione politica. Ma come i popoli, dove potevano, hanno rifiutato quella costituzione, così ora, dove possono, vorrebbero uscire da quella gabbia d’acciaio che è la moneta unica. Una moneta fatta a immagine e somiglianza del marco poteva andare bene per la Germania ma non per l’Europa. E così è stato.
Che insegnamento possiamo trarre da tutto ciò? Esattamente l’ opposto di quello che alcuni pensano e cioè che „ci vuole più Europa“. La storia ha dimostrato, e la Grecia oggi lo conferma, che l’ Europa è costituita da popoli diversi, da società che nonostante la globalizzazione restano eterogenee, da Stati territoriali che, nonostante tutto il diritto comunitario, continuano ad avere ordinamenti giuridici e politici diversi, da cittadini che vivono con stili e tradizione diversi. La ricchezza dell’ Europa sta in questa pluralità di voci che la contraddistingue. La sua identità sta nelle differenze. (Tratto da Corriere della Sera 08-08_2015)