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23 novembre 2024
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Mondadori salvata dal fisco

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 Mondadori non olet

Fonte:StaffGrillo

 

Se, come dice don Gallo, tutti gli autori della Mondadori, in particolare quelli della cosiddetta opposizione, la abbandonassero, il segnale per il Paese sarebbe fortissimo. Gli stessi autori, che sono decine e forse centinaia, non facendolo danno un segnale altrettanto forte al Paese: che loro non sono alternativi al berlusconismo, ma ci sono dentro fino al collo.

 

 

Intervista a don Andrea Gallo:

Blog: "La recente norma inserita in un decreto (il numero 40) del Governo Berlusconi, che poi è diventata legge lo scorso maggio, consentirebbe alla Mondadori di liquidare un'imposizione fiscale evasa di 350 milioni di euro con 8,6 milioni di euro. Quasi un condono.
Scalfari ha risposto a Mancuso, un autore che scrive per Mondadori attanagliato dal dubbio se scrivere ancora per la casa editrice di Segrate, e gli ha detto che continuerà a scrivere per Einaudi, casa del gruppo Mondadori. "

Don Gallo: "Mi rendo conto che siamo davanti a una degenerazione. Vedere la nostra intellighenzia che si comporta così… Devo dire che sono riconoscente alla Mondadori con la quale ho pubblicato tre libri. Ma quando ho letto tutta la storia di questa vertenza con l'Agenzia delle Entrate, ho detto basta, chiuso. E mi è venuto subito in mente un pensiero: Beppe Grillo me l'aveva detto nel 2004, gridandomelo simpaticamente. Ho detto basta perché non posso essere un complice di un'evasione fiscale così grande.
E sono molto amareggiato perché questi grandi autori potevano dare un grande segnale. E avevo fatto un parallelo: quando il regime fascista fu consolidato, il duce chiese a tutti i docenti universitari (che erano 1200) un giuramento di fedeltà. Solamente dieci non giurarono.
Pensa che segnale sarebbe stato per l'Italia e per gli italiani se gli autori avessero lasciato Mondadori. Sarebbe stato come dire: guardate che questo regime ci porta alla distruzione. E invece continuiamo, ancora una volta, a fare un mucchio di distinguo.
Io, piccolo come sono, dico: considerata un'evasione fiscale così grande, bisogna dare agli italiani l'opportunità di riflettere. Perché se tutto ciò succede mentre le  tasche dei lavoratori vengono colpite pesantemente (fra cassaintegrati e disoccupati), la cultura deve dare il suo contributo. Io, nel mio piccolo, ho deciso di darlo, soprattutto rivolgendomi alla mia coscienza.
Il denaro, in realtà, non unge. Certo, non tocca a me richiamare nessuno. Ma credo si stia scrivendo un'altra pagina triste di questa realtà. E poi i partiti: che reazione hanno avuto i partiti cosiddetti di centrosinistra?
Un appello a tutti movimenti: solo il movimento dal basso potrà dire la sua parola. A me sembra fondamentale una presa di coscienza dal basso, attraverso una trasparenza totale, per organizzarsi e snidare questo profondo problema. Solo i movimenti ne possono prendere coscienza e tentare l'unica strada percorribile. Come un filone rosso che nasce da tanti movimenti. Io ho seguito il movimento di Beppe, poi Val di Susa, No-Dal Molin, il grande Zanotelli in Campania da anni con l'acqua, chi combatte contro il raddoppio della centrale a carbone di Savona. Sempre movimenti dal basso.
Voglio essere molto sincero: stimando Scalfari, Saviano e altri, sono molto deluso. Non spetta a me giudicarli, ma mi hanno deluso. Il mio è un appello, non un giudizio. Anzi, da mini-autore quale sono, mi sarei aspettato da autori più importanti una reazione immediata. Sarebbe stata una grossa occasione per denunciare la vastità dell'evasione fiscale. Sono ancora in attesa."

Blog: "Cosa direbbe a Scalfari?"

Don Gallo: "Che non è più il mio maestro. "

Blog: "Una parola a Saviano."

Don Gallo: "Sto aspettando ancora. Mi sembra incredibile… Scalfari ha già deciso. Mentre Saviano non ha ancora detto nulla. Io ho molta speranza, perché Saviano ha dato ai giovani una grossa spinta, ha fatto capire cos'è questo mostro della mafia, dei collegamenti coi partiti. Per questo gli dico: Saviano dai un segnale ai giovani."

 

Mondadori salvata dal Fisco scandalo "ad aziendam" per il Cavaliere

(fonte:Repubblica.it 19 agosto 2010)

La somma dovuta dall'azienda editoriale: 173 milioni, più imposte, interessi, indennità di mora e sanzioni. Una norma che si somma ai 36 provvedimenti "ad personam" fatti licenziare alle Camere dal premier. Segrate è difesa al meglio: i suoi interessi li cura lo studio tributario di Giulio Tremonti, nel '91 non ancora ministro. Marina Berlusconi mette da parte 8,6 milioni, in attesa delle integrazioni al decreto. Che puntualmente arrivano

di MASSIMO GIANNINI

La sede della Mondadori

Sotto i nostri occhi, distolti dalla Parentopoli privata di Gianfranco Fini usata come arma di distruzione politica e di distrazione di massa, sta passando uno scandalo pubblico che non stiamo vedendo. Questo scandalo si chiama Mondadori. Il colosso editoriale di Segrate  -  di cui il premier Berlusconi è "mero proprietario" e la figlia Marina è presidente  -  doveva al Fisco la bellezza di 400 miliardi di vecchie lire, per una controversia iniziata nel '91. Grazie al decreto numero 40, approvato dal governo il 25 marzo e convertito in legge il 22 maggio, potrà chiudere la maxi-vertenza pagando un mini-tributo: non i 350 milioni di euro previsti (tra mancati versamenti d'imposta, sanzioni e interessi) ma solo 8,6. E amici come prima.

Un "condono riservato". Meglio ancora, una legge "ad aziendam". Che si somma alle 36 leggi "ad personam" volute e fatte licenziare dalle Camere dal Cavaliere, in questi tumultuosi quindici anni di avventurismo politico. Repubblica ha già dato la notizia, in splendida solitudine, l'11 agosto scorso. Ma ora che il centrodestra discute di una "questione morale" al suo interno, ora che la propaganda di regime costruisce teoremi assolutori sul "così fan tutti" e la macchina del fango istruisce dossier avvelenati sulle compravendite immobiliari, è utile tornarci su. E raccontare fin dall'inizio la storia, che descrive meglio di ogni altra l'enormità del conflitto di interessi del premier, il micidiale intreccio tra funzioni pubbliche e affari privati, l'uso personale del potere esecutivo e l'abuso politico sul potere legislativo.


Il prologo: paura a Segrate
(La storia)

La vicenda inizia nel 1991, quando il marchio Mondadori, da poco entrato nell'orbita berlusconiana, decide di varare una vasta riorganizzazione nelle province dell'impero. Scatta una fusione infragruppo tra la stessa Arnoldo Mondadori Editore e la Arnoldo Mondadori Editore Finanziaria (Amef). Operazioni molto in voga, soprattutto all'epoca, per nascondere plusvalenze e pagare meno tasse. Il Fisco se ne accorge, scattano gli accertamenti, e le Finanze chiedono inizialmente 200 miliardi di imposte da versare. L'azienda ricorre e si apre il solito, lunghissimo contenzioso. Da allora, la Mondadori vince i due round iniziali, davanti alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado. È assistita al meglio: i suoi interessi fiscali li cura, in aula, lo studio tributario di Giulio Tremonti, nel 1991 non ancora ministro delle Finanze (lo diventerà nel '94, con il primo governo Berlusconi). Nell'autunno del 2008 l'Agenzia delle Entrate presenta il suo ricorso in terzo grado, alla Cassazione. Nel frattempo la somma dovuta dall'azienda editoriale del presidente del Consiglio è lievitata: 173 milioni di euro di imposte dovute, alle quali si devono aggiungere gli interessi, le indennità di mora e le eventuali sanzioni. Il totale fa 350 milioni di euro, appunto.


Se la Suprema Corte accogliesse il ricorso, per Segrate sarebbe un salasso pesantissimo. Soprattutto in una fase di crisi drammatica per il mercato editoriale, affogato quanto e più di altri settori dalla "tempesta perfetta" dei mutui subprime che dal 2007 in poi sommerge l'economia del pianeta. Così, nel silenzio che aleggia sull'intera vicenda e nel circuito perverso del berlusconismo che lega la famiglia naturale alla famiglia politica, scatta un piano con le relative contromisure. Che non sono aziendali, secondo il principio del liberalismo classico: mi difendo "nel" mercato, e non "dal" mercato. Ma normative, secondo il principio del liberismo berlusconiano: se dal mercato non mi posso difendere, cambio le leggi. Un "metodo" collaudato, ormai, che anche sul fronte dell'economia (come avviene da anni su quello della giustizia) esige il "salto di qualità": chiamando in causa la politica, mobilitando il partito del premier, militarizzando il Parlamento. Un "metodo" che, nel caso specifico, si tradurrà in tre tentativi successivi di piegare l'ordinamento generale in funzione di un vantaggio particolare. I primi due falliranno. Il terzo centrerà l'obiettivo.


Il primo tentativo: il "pacchetto giustizia"


Siamo all'inverno 2008. Nessuno sa nulla, del braccio di ferro che vede impegnate la Mondadori e l'Amministrazione Finanziaria. Nel frattempo, il 13 aprile dello stesso anno il Cavaliere ha stravinto le elezioni, è di nuovo capo del governo, e Tremonti, da "difensore" del colosso di Segrate in veste di tributarista, è diventato "accusatore" del gruppo, in veste di ministro dell'Economia. Può scattare il primo tentativo. E nessuno si insospettisce, quando nel mese di dicembre un altro ministro del Berlusconi Terzo, il guardasigilli Angelino Alfano, presenta il suo corposo "pacchetto giustizia" nel quale, insieme al processo breve e alla nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche, compare anche la cosiddetta "definizione agevolata delle liti tributarie". Una norma stringatissima: prevede che nelle controversie fiscali nelle quali abbia avuto una sentenza favorevole, in primo e in secondo grado, il contribuente può estinguere la pendenza, senza aspettare l'eventuale pronuncia successiva in terzo grado (cioè la Cassazione) versando all'erario il 5% del dovuto. È un piccolo "colpo di spugna", senz'altro. Ma è l'ennesimo, e sembra rientrare nella logica delle sanatorie generalizzate, delle quali i governi di centrodestra sono da sempre paladini. In realtà, è esattamente il "condono riservato" che serve alla Mondadori.


L'operazione non riesce. Il treno del "pacchetto giustizia", che veicola la pillola avvelenata di quello che poi sarà ribattezzato il "Lodo Cassazione", non parte. La dura reazione del Quirinale, dei magistrati e dell'opposizione, sia sul processo breve che sulle intercettazioni, costringe Alfano allo stop. "Il pacchetto giustizia è rinviato al prossimo anno", dichiara il Guardasigilli alla vigilia di Natale. Così si blocca anche la "leggina" salva-Mondadori. Ma dietro le quinte, nei primi mesi del 2009, non si blocca il lavoro dell'inner circle del presidente del Consiglio. Il tempo stringe: la Cassazione ha già fissato l'udienza per il 28 ottobre 2009, di fronte alla sezione tributaria, per discutere della controversia fiscale tra l'Agenzia delle Entrate e l'azienda di Segrate. Così scatta il secondo tentativo. In autunno si discute alla Camera la Legge Finanziaria per il 2010. È il secondo "treno" in partenza, e per chi lavora a tutelare gli affari del premier è da prendere al volo.


Il secondo tentativo: la Finanziaria


Giusto alla vigilia dell'udienza davanti alla sezione tributaria della Suprema Corte, presieduta da un magistrato notoriamente inflessibile come Enrico Altieri, accadono due fatti. Il primo fatto accade al "Palazzaccio" di Piazza Cavour: il 27 ottobre il presidente della Cassazione Vincenzo Carbone (che poi risulterà pesantemente coinvolto nello scandalo della cosiddetta P3) decide a sorpresa di togliere la causa Agenzia delle Entrate/Mondadori alla sezione tributaria, e di affidarla alle Sezioni Unite come richiesto dagli avvocati di Segrate, con l'ovvio slittamento dei tempi in cui verrà discussa. Il secondo fatto accade a Montecitorio: il 29 ottobre, in piena notte, il presidente della Commissione Bilancio Antonio Azzolini, ovviamente del Pdl, trasmette alla Camera il testo di due emendamenti alla Finanziaria. Il primo innalza da 75 a 78 anni l'età di pensionamento per i magistrati della Cassazione (Carbone, il presidente che due giorni prima ha deciso di attribuire la causa Mondadori alle Sezioni Unite, sta per compiere proprio 75 anni, e quindi dovrebbe lasciare il servizio di lì a poco). Il secondo riproduce testualmente la "definizione agevolata delle liti tributarie" già prevista un anno prima dal "pacchetto giustizia" di Alfano. È di nuovo la legge "ad aziendam", che stavolta, con la corsia preferenziale della manovra economica, non può non arrivare al traguardo.


Ma anche questo secondo tentativo fallisce. Stavolta, a bloccarlo, è Gianfranco Fini. La mattina del 30 ottobre, cioè poche ore dopo il blitz notturno di Azzolini, il relatore alla Finanziaria Maurizio Sala (ex An) avverte il presidente della Camera: "Leggiti questo emendamento che consente a chi è in causa con il Fisco e ha avuto ragione in primo e in secondo grado di evitare la Cassazione pagando un obolo del 5%: c'è del marcio in Danimarca...". Fini legge, e capisce tutto. È l'emendamento salva-Mondadori, con la manovra non c'entra nulla, e non può passare. La norma salta ancora una volta. E non a caso, proprio in quella fase, cominciano a crescere le tensioni politiche tra Berlusconi e Fini, che due anni dopo porteranno alla rottura. Ma crescono anche le preoccupazioni di Marina sull'andamento dei conti di Segrate. Per questo il premier e i suoi uomini non demordono, e di lì a poco tornano all'attacco. Scatta il terzo tentativo. Siamo ai primi mesi del 2010, e sui binari di Palazzo Chigi c'è un terzo "treno" pronto a partire. Il 25 marzo il governo vara il decreto legge numero 40. È il cosiddetto "decreto incentivi", un provvedimento monstre, dove l'esecutivo infila di tutto. Durante l'iter di conversione, il Parlamento completa l'opera. Il 28 aprile, ancora una volta durante una seduta notturna, un altro parlamentare del Pdl, Alessandro Pagano, ripete il blitz, e ripresenta un emendamento con la norma salva-Mondadori.


Il terzo tentativo: il "decreto incentivi"


Stavolta, finalmente, l'operazione riesce. Il 22 maggio le Camere convertono definitivamente il decreto. All'articolo 3, relativo alla "rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre 10 anni e per le quali l'Amministrazione Finanziaria è risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio", il comma 2 bis traduce in legge la norma "ad aziendam": "Il contribuente può estinguere la controversia pagando un importo pari al 5% del suo valore (riferito alle sole imposte oggetto di contestazione, in primo grado, senza tener conto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni)". E pazienza se il presidente della Repubblica Napolitano, poco dopo, sul "decreto incentivi" invia alle Camere un messaggio per esprimere "dubbi in ordine alla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, per alcune nuove disposizioni introdotte, con emendamento, nel corso del dibattito parlamentare". E pazienza se la critica del Quirinale riguarda proprio quell'articolo 3, comma 2 bis. Ormai il gioco è fatto. Il colosso editoriale di proprietà del presidente del Consiglio è sostanzialmente salvo. Per consentire alla Mondadori di chiudere definitivamente i conti con il Fisco manca ancora un banale dettaglio, che rende necessario un ultimo passaggio parlamentare. Il decreto 40 non ha precisato che, per considerare concluso a tutti gli effetti il contenzioso, occorre la certificazione da parte dell'Amministrazione Finanziaria.


Per questo, nel bilancio semestrale 2010 del gruppo di Segrate, presentato il 30 giugno scorso, Marina Berlusconi fa accantonare "8.653 migliaia di euro relativi al versamento dell'importo previsto dal decreto legge 25 marzo 2010, numero 40" sulla "chiusura delle liti pendenti", e fa scrivere, a pagina 61, al capitolo "Altre attività correnti": "Pur nella convinzione della correttezza del proprio operato, e con l'obiettivo di non esporre la società a una situazione di incertezza ulteriore, sono state attuate le attività preparatorie rispetto al procedimento sopra richiamato. In particolare si è proceduto all'effettuazione del versamento sopra richiamato. Nelle more della definizione del quadro normativo, a fronte dell'introduzione di specifiche attestazioni da parte dell'Amministrazione Finanziaria previste nelle ultime modifiche al decreto, e tenuto anche conto del fatto che gli atti necessari per il perfezionamento del procedimento e l'acquisizione dei relativi effetti non sono stati ancora completati, la società ha ritenuto di iscrivere l'importo anticipato nella posta in esame...". Ricapitolando: la Mondadori mette da parte poco più di 8,6 milioni di euro, cioè il 5% dei 173 che avrebbe dovuto al Fisco (al netto di sanzioni e interessi), in attesa di considerare perfezionato il versamento al Fisco in base alle ultime integrazioni al decreto che saranno effettuate in Parlamento. E le integrazioni arrivano puntuali, alla Camera, il 7 luglio: nella manovra 2011 il relatore Antonio Azzolini (ancora lui) inserisce l'emendamento finale: "L'avvenuto pagamento estingue il giudizio a seguito dell'attestazione degli uffici dell'Amministrazione Finanziaria comprovanti la regolarità dell'istanza e il pagamento integrale di quanto dovuto". Ci siamo: ora il "delitto" è davvero perfetto. La Mondadori può pagare pochi spiccioli, e chiudere in gloria e per sempre la guerra con l'Erario, che a sua volta gliene da atto rilasciandogli regolare "quietanza".


L'epilogo: una nazione "ad personam"?


Sembra un romanzaccio di fanta-finanza o di fanta-politica. È invece la pura e semplice cronaca di un pasticciaccio di regime. Nel quale tutto è vero, tutto torna e tutto si tiene. Stavolta Berlusconi non può dire "non mi occupo degli affari delle mie aziende": non è forse vero che il 3 dicembre 2009 (come riportato testualmente dalle intercettazioni dell'inchiesta di Trani) nel pieno del secondo tentativo di far passare la legge "ad aziendam" dice al telefono al commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi "è una cosa pazzesca, ho il fisco che mi chiede 900 milioni... De Benedetti che me li chiede ma ha già avuto una sentenza a favore, 750 milioni, pensa te, e mia moglie che mi chiede 90 miliardi delle vecchie lire all'anno... sono messo bene, no?". Stavolta Berlusconi non può dire che Carboni, Martino e Lombardi sono solo "quattro sfigati in pensione": non è forse vero che nelle 15 mila pagine dell'inchiesta delle procure sulla cosiddetta P3 la parola "Mondadori" ricorre 430 volte (insieme alle 27 in cui si ripete la parola "Cesare") e che nella frenetica attività della rete criminale creata per condizionare i magistrati nell'interesse del premier sono finiti sia il presidente della Cassazione Carbone (cui come abbiamo visto spettava il compito di dirottare alle Sezioni Unite la vertenza Mondadori-Agenzia delle Entrate) sia il presidente dell'Avvocatura dello Stato Oscar Fiumara (cui competeva il necessario via libera a quel "dirottamento"?).

È tutto agli atti. Una sola domanda:
di fronte a un simile sfregio delle norme del diritto, un simile spregio dei principi del mercato e un simile spreco di denaro pubblico, ci si chiede come possano tacere le istituzioni, le forze politiche, le Confindustrie, gli organi di informazione. Possibile che "ad personam", o "ad aziendam", sia ormai diventata un'intera nazione? m.giannini@repubblica. it

Aggiungiamo ancora  il video dell'IDV per completare il quadro

Decreto salva Mondadori - Berlusconi

IDVstaff | 19 agosto 2010

   

 

La Mondadori è una casa editrice ottenuta da Berlusconi corrompendo ai tempi giudici ed avvocati (Previti, Metta, Pacifico, Acampora). E’ scritto nella sentenza della Cassazione del luglio 2007. Oltre vent’anni di appropriazione indebita del più grosso Gruppo Editoriale italiano.
Nonostante Andreotti abbia a suo tempo costretto Fininvest a restituire parte delle aziende del Gruppo (La Repubblica, l’Espresso e alcuni giornali locali) alla Cir di De Benedetti, la Mondadori rimane oggi nelle mani di Silvio Berlusconi che però deve pagare per il furto un indennizzo alla stessa Cir di 750 milioni di euro.
Non solo, la stessa azienda deve al fisco 350 milioni di euro. In questi giorni, sui giornali, si legge che la Mondadori potrà liquidare la maxi-multa per evasione con appena 8,6 milioni grazie ad un decreto ad aziendam (numero 40), approvato dal governo il 25 marzo e convertito in legge il 22 maggio.

I fatti appena citati sono incontrovertibili e non possono essere ignorati da chi scrive libri per la casa editrice. Gli autori della Mondadori ricevono compensi e stipulano accordi con una società posseduta da un corruttore, che utilizza le leggi per raggirare lo Stato e ledere la concorrenza. Ignorare questo dettaglio significa promuovere il concetto secondo il quale i compensi con cui Mondadori remunera i suoi autori sono largamente superiori al danno etico che il conflitto di interessi“tengono famiglia”, come alcuni autori sostengono. produce sulla loro pelle. Ciò non toglie che nella società ci lavorino persone di qualità ed oneste e che

Questo schema opportunistico, tipicamente italiano, ci ha condotti allo stallo dei valori democratici ed etici che oggi questo governo rappresenta.
Gli autori che pubblicano con Mondadori fanno una scelta, oltre che editoriale, anche sociale.  
Il fatto che Berlusconi legiferi per la Mondadori e la Mondadori si serva delle sue leggi per evitare i versamenti d'imposta con cui lo Stato eroga anche i servizi al cittadino non può passare in cavalleria con lo slogan “business is business”.
Il fatto che la Mondadori sia stata acquisita con metodi illegali (la corruzione), e quindi abusivamente posseduta, rende paradossali alcune pubblicazioni di autori che affrontano temi importanti quali la legalità, la lotta alla criminalità, l’ambiente. Su questo aspetto invito Roberto Saviano, che stimo per il suo impegno contro la criminalità organizzata, a valutare (se non lo ha già fatto) case editrici alternative per la pubblicazione del suo prossimo libro.
Il fatto che la Mondadori, grazie al Presidente del Consiglio e proprietario, possa trarre vantaggi fiscali, e dunque competitivi, sul mercato a scapito della libera concorrenza e delle altre case editrici, non può essere ignorato da chi scrive e da chi legge.
Invito gli autori, dunque, a valutare bene quale sia la merce di scambio quando decidono di pubblicare con la Mondadori. Sappiano che in gioco non ci sono solo le copie vendute e le royalty retrocesse ma ben altri valori non commerciabili. Stesso invito rivolgo ai lettori nell’acquistare.
Dopo tutto, lo stesso Presidente del Consiglio invitò gli industriali a non fare pubblicità sui giornali che, a suo avviso, “mentivano” ostacolando la propaganda di governo.
Con una visione dei valori agli antipodi dalla sua, in questo caso ritengo sia giusto chiedere agli autori di non pubblicare con Mondadori e ai lettori di orientarsi verso l’acquisto di libri “etico-compatibili”.

 

NOSTRO COMMENTO: Se è vero quanto affermato da Repubblica e non ci sarebbe motivo di dubitarne, io mi chiedo, unitamente a tutti gli Italiani che pagano le tasse, mi riferisco ai percettori di reddito fisso che sono tassati alla fonte non a quelli di reddito variabile molti dei quali sfuggono, che reazione hanno avuto leggendo una notizia del genere? Dovrei argomentare: Nessuna! Perché tranne Repubblica e Beppe Grillo, per un fatto gravissimo del genere, c’è stato il totale silenzio  stampa e dei media. Ha ragione Don Gallo quando afferma: “…. i partiti: che reazione hanno avuto i partiti cosiddetti di centrosinistra? Un appello a tutti movimenti: solo il movimento dal basso potrà dire la sua parola. A me sembra (continua Do Gallo) fondamentale una presa di coscienza dal basso, attraverso una trasparenza totale, per organizzarsi e snidare questo profondo problema. Solo i movimenti ne possono prendere coscienza e tentare l'unica strada percorribile. Come un filone rosso che nasce da tanti movimenti….” E’ vero Don Gallo! Sono d’accordo con Lei. Intanto facciamo girare questi video sui Ns Blog. Cominciamo a dare al fatto la pubblicità che merita chiamando in causa i partiti ed i politici  che fanno vera opposizione tipo l’IDV, Di Pietro, (già fatto!) Sonia Alfano, Vendola, Santoro, ecc. Ci meravigliamo per Saviano e Mancuso che ancora stazionano presso la Mondadori. Mah! E’ una vera Vergogna che si taccia su simili avvenimenti di evasione fiscale legalizzata. Intanto fate girare a 360° questo video e l’articolo di Repubblica, perché gli Italiani sappiano.

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