IL CONSENSO INFORMATO
(a cura di Avv. Fernando Cannizzaro)
Un Navigatore di internet mi ha mandato una e-mail pregandomi di trattare l'argomento del Consenso Informato a seguito di un caso giudiziario di cui Egli stesso è stato protagonista e si è visto costretto a citare in giudizio la Struttura sanitaria ed il medico per essere risarcito dei danni patiti a seguito di un trattamento sanitario fatto in assenza di consenso informato. Il suo caso si è risolto positivamente con la condanna della Struttura sanitaria e del medico.
Un Navigatore di internet mi ha mandato una e-mail pregandomi di trattare l'argomento del Consenso Informato a seguito di un caso giudiziario di cui Egli stesso è stato protagonista e si è visto costretto a citare in giudizio la Struttura sanitaria ed il medico per essere risarcito dei danni patiti a seguito di un trattamento sanitario fatto in assenza di consenso informato. Il suo caso si è risolto positivamente con la condanna della Struttura sanitaria e del medico.
Il Navigatore che - per motivi di privacy omettiamo le generalità - mi prega di approfondire questo argomento per dare la possibilità a chiunque di essere edotto su tale delicato argomento. La stessa richiesta mi è stata rivolta, numerose volte, da mia figlia, che, unitamente ad altri suoi colleghi medici, mi hanno da tempo sollecitato di occuparmi di questo argomento esponendolo su Internet. Finalmente li accontento!
Il concetto di Consenso Informato (che per brevità di esposizione chiameremo CI) non è disciplinato in modo compiuto nel Nostro ordinamento. Conseguentemente, in assenza, di un vuoto normativo occorre fare riferimento alla interpretazione per chiarire la formulazione.
La Nostra Costituzione all'art. 2 tutela i diritti fondamentali della persona. All' art 13, trattando della inviolabilità della persona, legittima il potere della persona stessa, di disporre del proprio corpo. L'art. 32 tutela la salute come diritto fondamentale del cittadino. Ancora: la legislazione speciale Legge 23-12-1978, n. 833, che istituisce il Servizio Sanitario nazionale; la Legge sull'interruzione volontaria della gravidanza (L.22-5-1978,n.194). Il Codice di deontologia medica del 2006 (art.35) che così recita:"il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l'acquisizione del consenso esplicito ed informato del paziente" La Cassazione, infine, con sentenza (Cass.civ. 14-3-2006,n.5444) ha precisato che"......l'obbligo del consenso informato.......è a carico del sanitario che, una volta richiesto dal paziente l'esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso, a nulla rilevando che la richiesta del paziente discenda da una prescrizione di altro sanitario"
La natura del CI s'inquadra nell'ambito di un contratto di prestazione d'opera tra il sanitario ed il paziente. Il sanitario ha il dovere di informare il paziente in modo chiaro, preciso e comprensibile su quanto intende fare e sulle probabili conseguenze derivanti da trattamento. Se non ottempera a questo dovere viola l'art. 1337 c.c. (buona fede nella formazione del contratto) .
Il CI deve essere reso dal paziente o da chi per Lui, in caso di incapacità, in vista di un intervento chirurgico o di altra terapia specialistica o accertamento diagnostico invasivo. Il CI non attiene solo ai rischi soggettivi dell'operatore ma riguarda anche la Struttura sanitaria con riferimento alle dotazioni ed attrezzature. In tal modo il paziente ha tutto il tempo di regolarsi se sottoporsi o meno ad accertamenti o interventi.
La negazione del consenso impedisce qualsiasi intervento medico (salvo lo stato di necessità ex art. 54 C.P.) ed in presenza del consenso, eventuali lesioni non possono essere attribuite come volontarie al sanitario.
Ne consegue che nel caso di specie ben ha fatto il nostro "Navigatore" a citare in giudizio la Struttura sanitaria ed il medico per ottenere il risarcimento dei danni subiti. L'assenza del CI integra altresì il reato di lesioni colpose (Cfr. Cass. Penale, 11-07-2001 n.13066) determinando in tal modo la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. ai sensi del quale il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge. La ratio dell'art.2059 c.c. va ricercata nel suo collegamento con l'art.185 c.p., che ai tempi dell'entrata in vigore del codice civile era l'unica norma che potesse dare un senso alla disposizione in parola. In particolare, l'intento del legislatore era quello di sanzionare in modo particolare e accentuato l'illecito derivante da reato.
Per lungo tempo quindi la cultura giuridica italiana fu concorde nel limitare il risarcimento del danno non patrimoniale alle ipotesi di reato.
In seguito, sotto la spinta della dottrina, si giunse ad una svolta, con la famosa sentenza della Corte Costituzionale n.184/86 (detta sent. Dell'Andro), emessa in materia di danno biologico. In detta sentenza la Corte Costituzionale stabilì che il disposto dell'art.2059 c.c. dovesse essere limitato esclusivamente al danno morale, inteso come "transeunte turbamento" dell'animo derivante dall'illecito. Il danno biologico sarebbe quindi dovuto rientrare nell'alveo dell'art.2043 c.c. Questa soluzione, secondo il parere della Corte, non sarebbe ostacolata dal fatto che l'art.2043 c.c. nel quadro del titolo IX del libro IV, parrebbe riferirsi solo ai danni patrimoniali. Infatti tale disposizione si porrebbe come "norma secondaria" volta a sanzionare la violazione di norme primarie; cosicché, se la norma primaria tutela beni patrimoniali, il danno risarcibile sarà ovviamente patrimoniale; viceversa, alla violazione di una norma primaria tutelatrice di un bene non patrimoniale (come la salute ai sensi dell'art. 32 Cost.), conseguirà necessariamente il risarcimento di un danno non patrimoniale.
Tale orientamento è stato seguito dalla giurisprudenza per quasi vent'anni ed esattamente fino alla svolta della Corte di Cassazione avvenuta con due sentenze gemelle del 2003. La S.C. ha ritenuto di non poter più condividere l'orientamento appena esposto; probabilmente tale svolta è stata determinata dal fatto che l'art.2043 c.c., non ponendo alcun limite alla propria operatività, aveva portato all'allargamento indiscriminato delle ipotesi di risarcimento anche ai danni "bagatellari". (ossia i risarcimenti che certi giudici di pace hanno concesso a disappunti futili, insignificanti; la cassetta postale intasata, la squadra di calcio retrocessa, il film che comincia in ritardo, etc.). A tal fine la Cassazione invita d'ora in poi a riferirsi ad un'unica "categoria", quella del danno non patrimoniale, e a prospettare il danno biologico, esistenziale, morale, come mere "sotto-voci" di quest'ultimo, non già come categorie autonome. Le stesse cose dette in altro modo insomma; scompariranno così i bagatellari?
La S.C. ha quindi ricondotto nell'alveo dell'art.2059 c.c. tutte le fattispecie di danno non patrimoniale, con la precisazione che il limite ivi contenuto non opera in presenza di valori costituzionalmente protetti. Peraltro nella stessa sentenza la S.C., propone anche un secondo percorso argomentativo per giungere al medesimo risultato: il requisito della previsione legislativa di cui all'art.2059 c.c. sarebbe pienamente soddisfatto dalle norme costituzionali, in quanto esse, nel momento in cui danno rilevanza ad un bene giuridico, non possono non assicurare implicitamente allo stesso la tutela minima costituita dal risarcimento del danno.
Infine si riporta, per meglio chiarire il concetto di CI, quanto scritto in Wikipedia che, per i non addetti ai lavori, risulta di più facile comprensibilità:
"Il consenso deve essere scritto nei casi in cui l'esame clinico o la terapia medica possano comportare gravi conseguenze per la salute e l'incolumità della persona. Se il consenso è rifiutato, il medico ha l'obbligo di non eseguire o di interrompere l'esame clinico o la terapia in questione. Il consenso scritto è anche obbligatorio, per legge quando si dona o si riceve sangue, si partecipa alla sperimentazione di un farmaco o negli accertamenti di un'infezione da HIV.
Negli altri casi, soprattutto quando è consolidato il rapporto di fiducia tra il medico e l'ammalato, il consenso può essere solo verbale ma deve essere espresso direttamente al medico. In ogni caso, il consenso informato dato dal malato deve essere attuale, deve cioè riguardare una situazione presente e non una futura (per questo, la legge non riconosce la validità dei testamenti biologici).
Il consenso può essere revocato in ogni momento dal paziente e, quindi, gli operatori sanitari devono assicurarsi che rimanga presente per tutta la durata del trattamento: se la cura considerata prevede più fasi diverse e separabili, la persona malata deve dare il suo consenso per ogni singola parte di cura.
Le uniche eccezioni all'obbligo del consenso informato sono:
Il concetto di Consenso Informato (che per brevità di esposizione chiameremo CI) non è disciplinato in modo compiuto nel Nostro ordinamento. Conseguentemente, in assenza, di un vuoto normativo occorre fare riferimento alla interpretazione per chiarire la formulazione.
La Nostra Costituzione all'art. 2 tutela i diritti fondamentali della persona. All' art 13, trattando della inviolabilità della persona, legittima il potere della persona stessa, di disporre del proprio corpo. L'art. 32 tutela la salute come diritto fondamentale del cittadino. Ancora: la legislazione speciale Legge 23-12-1978, n. 833, che istituisce il Servizio Sanitario nazionale; la Legge sull'interruzione volontaria della gravidanza (L.22-5-1978,n.194). Il Codice di deontologia medica del 2006 (art.35) che così recita:"il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l'acquisizione del consenso esplicito ed informato del paziente" La Cassazione, infine, con sentenza (Cass.civ. 14-3-2006,n.5444) ha precisato che"......l'obbligo del consenso informato.......è a carico del sanitario che, una volta richiesto dal paziente l'esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso, a nulla rilevando che la richiesta del paziente discenda da una prescrizione di altro sanitario"
La natura del CI s'inquadra nell'ambito di un contratto di prestazione d'opera tra il sanitario ed il paziente. Il sanitario ha il dovere di informare il paziente in modo chiaro, preciso e comprensibile su quanto intende fare e sulle probabili conseguenze derivanti da trattamento. Se non ottempera a questo dovere viola l'art. 1337 c.c. (buona fede nella formazione del contratto) .
Il CI deve essere reso dal paziente o da chi per Lui, in caso di incapacità, in vista di un intervento chirurgico o di altra terapia specialistica o accertamento diagnostico invasivo. Il CI non attiene solo ai rischi soggettivi dell'operatore ma riguarda anche la Struttura sanitaria con riferimento alle dotazioni ed attrezzature. In tal modo il paziente ha tutto il tempo di regolarsi se sottoporsi o meno ad accertamenti o interventi.
La negazione del consenso impedisce qualsiasi intervento medico (salvo lo stato di necessità ex art. 54 C.P.) ed in presenza del consenso, eventuali lesioni non possono essere attribuite come volontarie al sanitario.
Ne consegue che nel caso di specie ben ha fatto il nostro "Navigatore" a citare in giudizio la Struttura sanitaria ed il medico per ottenere il risarcimento dei danni subiti. L'assenza del CI integra altresì il reato di lesioni colpose (Cfr. Cass. Penale, 11-07-2001 n.13066) determinando in tal modo la risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. ai sensi del quale il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge. La ratio dell'art.2059 c.c. va ricercata nel suo collegamento con l'art.185 c.p., che ai tempi dell'entrata in vigore del codice civile era l'unica norma che potesse dare un senso alla disposizione in parola. In particolare, l'intento del legislatore era quello di sanzionare in modo particolare e accentuato l'illecito derivante da reato.
Per lungo tempo quindi la cultura giuridica italiana fu concorde nel limitare il risarcimento del danno non patrimoniale alle ipotesi di reato.
In seguito, sotto la spinta della dottrina, si giunse ad una svolta, con la famosa sentenza della Corte Costituzionale n.184/86 (detta sent. Dell'Andro), emessa in materia di danno biologico. In detta sentenza la Corte Costituzionale stabilì che il disposto dell'art.2059 c.c. dovesse essere limitato esclusivamente al danno morale, inteso come "transeunte turbamento" dell'animo derivante dall'illecito. Il danno biologico sarebbe quindi dovuto rientrare nell'alveo dell'art.2043 c.c. Questa soluzione, secondo il parere della Corte, non sarebbe ostacolata dal fatto che l'art.2043 c.c. nel quadro del titolo IX del libro IV, parrebbe riferirsi solo ai danni patrimoniali. Infatti tale disposizione si porrebbe come "norma secondaria" volta a sanzionare la violazione di norme primarie; cosicché, se la norma primaria tutela beni patrimoniali, il danno risarcibile sarà ovviamente patrimoniale; viceversa, alla violazione di una norma primaria tutelatrice di un bene non patrimoniale (come la salute ai sensi dell'art. 32 Cost.), conseguirà necessariamente il risarcimento di un danno non patrimoniale.
Tale orientamento è stato seguito dalla giurisprudenza per quasi vent'anni ed esattamente fino alla svolta della Corte di Cassazione avvenuta con due sentenze gemelle del 2003. La S.C. ha ritenuto di non poter più condividere l'orientamento appena esposto; probabilmente tale svolta è stata determinata dal fatto che l'art.2043 c.c., non ponendo alcun limite alla propria operatività, aveva portato all'allargamento indiscriminato delle ipotesi di risarcimento anche ai danni "bagatellari". (ossia i risarcimenti che certi giudici di pace hanno concesso a disappunti futili, insignificanti; la cassetta postale intasata, la squadra di calcio retrocessa, il film che comincia in ritardo, etc.). A tal fine la Cassazione invita d'ora in poi a riferirsi ad un'unica "categoria", quella del danno non patrimoniale, e a prospettare il danno biologico, esistenziale, morale, come mere "sotto-voci" di quest'ultimo, non già come categorie autonome. Le stesse cose dette in altro modo insomma; scompariranno così i bagatellari?
La S.C. ha quindi ricondotto nell'alveo dell'art.2059 c.c. tutte le fattispecie di danno non patrimoniale, con la precisazione che il limite ivi contenuto non opera in presenza di valori costituzionalmente protetti. Peraltro nella stessa sentenza la S.C., propone anche un secondo percorso argomentativo per giungere al medesimo risultato: il requisito della previsione legislativa di cui all'art.2059 c.c. sarebbe pienamente soddisfatto dalle norme costituzionali, in quanto esse, nel momento in cui danno rilevanza ad un bene giuridico, non possono non assicurare implicitamente allo stesso la tutela minima costituita dal risarcimento del danno.
Infine si riporta, per meglio chiarire il concetto di CI, quanto scritto in Wikipedia che, per i non addetti ai lavori, risulta di più facile comprensibilità:
"Il consenso deve essere scritto nei casi in cui l'esame clinico o la terapia medica possano comportare gravi conseguenze per la salute e l'incolumità della persona. Se il consenso è rifiutato, il medico ha l'obbligo di non eseguire o di interrompere l'esame clinico o la terapia in questione. Il consenso scritto è anche obbligatorio, per legge quando si dona o si riceve sangue, si partecipa alla sperimentazione di un farmaco o negli accertamenti di un'infezione da HIV.
Negli altri casi, soprattutto quando è consolidato il rapporto di fiducia tra il medico e l'ammalato, il consenso può essere solo verbale ma deve essere espresso direttamente al medico. In ogni caso, il consenso informato dato dal malato deve essere attuale, deve cioè riguardare una situazione presente e non una futura (per questo, la legge non riconosce la validità dei testamenti biologici).
Il consenso può essere revocato in ogni momento dal paziente e, quindi, gli operatori sanitari devono assicurarsi che rimanga presente per tutta la durata del trattamento: se la cura considerata prevede più fasi diverse e separabili, la persona malata deve dare il suo consenso per ogni singola parte di cura.
Le uniche eccezioni all'obbligo del consenso informato sono:
-
le situazioni nelle quali la persona malata ha espresso esplicitamente la volontà di non essere informata;
-
le condizioni della persona siano talmente gravi e pericolose per la sua vita da richiedere un immediato intervento di necessità e urgenza indispensabile. In questi casi si parla di consenso presunto;
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i casi in cui si può parlare di consenso implicito, per esempio per quelle cure di routine, o per quei farmaci prescritti per una malattia nota. Si suppone, infatti, che in questo caso sia consolidata l'informazione ed il consenso relativo;
-
in caso di rischi che riguardano conseguenze atipiche, eccezionali ed imprevedibili di un intervento chirurgico che possono causare ansie e timori inutili. Se, però, il malato richiede direttamente questo tipo di informazioni, il medico deve fornirle;
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i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO),
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le vaccinazioni obbligatorie, sono stabilite nei programmi nazionali di salute pubblica.-"
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Commenti (1)
Silvio Lucangeli said:
... Ho intentato causa ad un medico e alla struttura sanitaria per la mancanza di consenso informato scritto, relativamente ad intervento chirurgico subito da mia moglie la quale decedeva un mese dopo l'operazione(anno 2001). Oggi 8 aprile 2011 esce la sentenza del Giudice Maurizio Maselli del Tribunale civile di Roma, sezione tredicesima, il quale rigetta la mia domanda e mi condanna alle spese legali...... Lo stesso Giudice, aveva condannato un veterinario per lo stress subito dal padrone di un cane deceduto dopo le cure. devo andare a mi manda raitre o a striscia la notizia? Mi può aiutare? Grazie Silvio Lucangeli, Roma |
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